“RAGAZZI DELLA PALESTRA DI ROCCIA DI LOZZO”

Scritto da Giuliano in . Inviato in Incontri, Senza categoria, Storia

La falesia di Lozzo di Cadore è attualmente fruibile grazie al lavoro dei Ragni in particolare di GianMario Meneghin per “la pulizia” dell’area d’arrampicata, e dalla guida Alpina
Alex Pivirotto per la messa in sicurezza dell’accesso alle pareti.

Paolo Schiavina – Sezione di Lorenzago di Cadore – Articolo della rivista DOLOMITI BELLUNESI
Lozzo, piccolo e ridente paesino del Cadore, tanto offre al turista in tutte le stagioni: il Pian dei Buoi, rinomato altipiano a più di 1700 metri alle pendici delle Marmarole, offre a chiunque un posto di appoggio per escursioni e arrampicate di qualsiasi livello, e rifugi di altissimo valore tecnico.
I vari sentieri botanici (“Tita Poa” e altri) e le varie bellezze naturali attirano in estate flotte di villeggianti di qualsiasi ceto, nazione ed età. Ma più di tutto, da alcuni anni è attiva una splendida palestra di roccia, frequentata principalmente da arrampicatori di elevato livello (la via più semplice è un 6a+), che si ritrovano in tutte le stagioni ad esprimere le proprie capacità. La roccia è un conglomerato interglaciale, quindi costituito da appigli rotondi e sfuggenti oppure da larghi buchi (dove il sasso è saltato via). Le difficoltà vanno dal 6°+ fino all’8a nella parte più strapiombante della palestra; ed è proprio di un gruppo di “ragazzi” locali che vogliamo parlare.
L’età media è dai 40 anni in su; quasi tutti arrivano dopo il lavoro con furgoni o auto, soprattutto se piove, perché la palestra è strapiombante… «e si arrampica senza bagnarsi», dicono. La cosa impressionante è l’umiltà e la gentilezza quando ti chiedono di posteggiare l’auto sul tuo prato; e quando gli dici «ci mancherebbe… ho tagliato l’erba apposta» ti salutano con simpatia e il tipico «se vedon dopo, sane e grasie».
Ed è qui in uno dei tanti incontri, che, al ritorno dalla palestra, vedo un tipo “strano”, petto nudo,
pantaloncini corti, poco più giovane di me, e gli urlo «Vosto vegnì a bee argo?» («Vuoi venire a bere qualcosa?») Non sono cadorino, ma dopo oltre cinquantacinque anni di frequentazione, di iscrizione al Cai di Lorenzago, tre baite, un appartamento a Lorenzago, una vecchia storia di soccorso alpino (quando ancora non c’era l’elicottero), una ferrata montata sul Cridola, un matrimonio alla chiesetta delle Tre Cime… un po’ di cadorino lo mastico!
Il tipo si presenta: pantaloncini, senza maglietta, capelli lunghi, al vento, braccia possenti e pettorali ben evidenti. Mi è subito simpatico, perché assomiglia a mio figlio Riccardo. Mi dice che è “vecchio” e in pensione: riconosco in lui l’idraulico che oltre vent’anni fa mi ha fatto l’impianto del gas nell’appartamento a Lorenzago, poi capisco che è qualcuno in più, e solo allora mi dice: «Sono Icio, Maurizio Dall’Omo!»
Adesso è tutto chiaro!
Gli offro un’ombra” e ci mettiamo a parlare: esattamente l’opposto dei tipici scalatori pieni di sé, che raccontano le loro avventure: per farlo parlare un po’ servono più “ombre”, è schivo e sereno e ti racconta piano piano le sue avventure e scalate, sempre sminuendole e quasi… con timore!
Poi arrivano gli altri “ragazzi”, tutti dello stesso stampo: Matteo, da alcuni mesi
arrampica con Icio nel tempo libero e già fa il 7c; il “baronetto” di Domegge, sereno e tranquillo; il comelicese Doriguzzi, educatissimo e fortissimo ad arrampicare:
Ghin, già capo del Soccorso Alpino locale e che apre vie su vie, poi altri ragazzi del posto che frequentano la palestra.
Arrivano ancora giovani tranquilli, puliti, sereni, dai 25 ai 30 anni: riconosco il figlio del Presidente del Cai di Pieve di Cadore, la figlia del mitico e compianto
Ferruccio Svaluto Moreolo, Fanno subito amicizia e si uniscono al gruppo dei
“vecchi”; alla faccia dei boomer! E mentre Icio pian piano si trova a suo agio e racconta la sua filosofia di vita e cosa significa per lui arrampicare e rispettare la montagna, giungono anche i più giovani, trentenni che imparano, chiedono, si confrontano, bevono..
In una realtà industriale, questo si tradurrebbe in vero e proprio “team building”, ma Icio non vuole mostrarsi al grande pubblico, e preferisce raccontare del suo nuovo “fortino” appena scoperto sul Tudaio, spiegando le vie appena aperte.
E “vecchio”, dice, e non va oltre… l’8°, «la montagna va rispettata e la paura ti salva..»

DOLOMIA 2023

Scritto da Giuliano in . Inviato in Alpinismo, Incontri, Senza categoria, Storia


CRESTA DEGLI INVALIDI – VIA OLIVO
Con i nostri ragni Alex Pivirotto e Angelo Dolmen e il futuro giovane Ragno Enrico Gatto..

“La sua prima cordata su Cima Grande? Difficile anche per i più esperti, ma lui l’ha percorsa ‘volando'”. La guida alpina sul grande ‘scalatore’ delle Dolomiti Molin

Scritto da Giuliano in . Inviato in Alpinismo, Incontri, Storia

Si è spento a 90 anni Molin, originario di Auronzo di Cadore. Tra le sue imprese vengono ricordate oltre alla parete nord del Campanile Toro, “via Molin”, insieme ai “Camosci auronzani” e Punta Civetta sulle Dolomiti, anche le spedizioni sulle Hoggar mountains negli anni ’70 in Algeria. L’intervista a Valmassoi: “Quelle montagne per lui erano casa. Ha arrampicato fino a 79 anni”

a Valmassoi: “Quelle montagne per lui erano casa. Ha arrampicato fino a 79 anni”

AURONZO DI CADORE.”‘Ho fatto il muratore da ragazzino, conosco questa roccia’ e tirava gli appigli sulle vette delle Dolomiti con un familiarità unica. Arrampicava sulle vie che conosceva senza corda. Aveva delledoti e delle capacità fuori dal comune, è per questo che è diventato una leggenda“. A raccontare il grande alpinista Alziro Molin sono le parole commosse di Mauro Valmassoi, guida alpina, appartenente al Gruppo Ragni di Pieve di Cadore.

Molin si è spento a quasi 91 anni all’ospedale di San Candido l’11 aprile scorso, dopo una vita passata sulla roccia. Originario di Auronzo di Cadore, classe 1932, Molin era entrato da giovane nei “Camosci di Auronzo“, gruppo delle guide alpine del luogo. Negli anni ’50 presta servizio militare nella “Julia”, 3º artiglieria da montagna e passa poi alla “Cadore” come istruttore militare di sci e roccia.

Lui, ancora in parete a più di 70 anni, oltre a essere una grande guida alpina è stato riconosciuto come uno dei più grandi scalatori e ‘liberista’ della seconda metà del secolo scorso. Tra le sue imprese vengono ricordate oltre la parete nord delCampanile Toro, “via Molin” insieme ai “Camosci auronzani”, e Punta Civetta sulle Dolomiti, anche le spedizioni sulle Hoggar mountains negli anni ’70 in Algeria, sul’Hindu Kush in Afghanistan e nel distretto di Angmagssalik in Groenlandia.

“Era il 1994 quando lo portai per la prima volta sulla via Hasse Brandler, sulla parete nord di Cima Grande delle Tre Cime di Lavaredo – racconta Valmassoi -. Alziro non l’aveva mai fatta e al tempo aveva 64 anni. E’ stata la nostra prima cordata insieme. Dopo aver parcheggiato alla Forcella di Lavaredo abbiamo cominciato a salire. La parete nord è una via molto difficile anche per gli alpinisti più esperti e allenati. Lui invece ha ‘volato’, l’ha percorsa senza alcun tipo di fatica o problema, con una facilità che mi ha impressionato. Quelle montagne per lui erano casa, gli strapiombi ormai non gli facevano più paura”.

Le due guide alpine erano legate da una profonda amicizia. “Ci siamo incontrati negli anni ’90, ma il suo nome era già molto conosciuto, per me era un idolo – aggiunge la guida -. Era una persona sincera, riservata e molto umile, non si vantava dei suoi successi. Aveva delle componenti psicologiche e fisiche da fuoriclasse“.

Cresciuto e allenato in un’epoca in cui ancora l’attrezzatura tecnica come la intendiamo oggi era sconosciuta, “appena messe ai piedi le scarpette da arrampicata mi disse che gli sembrava di ‘volare’ – conclude Valmassoi . Lui per esempio non utilizzava mai la magnesite. E’ riuscito ad arrampicarefino a 79 anni“.

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